Siamo al secondo dei 10 punti del Manifesto della comunicazione non ostile: “Si è ciò che si comunica”.

Esattamente come per il primo punto, ripeti a voce alta:

Si è ciò che si comunica

Quanto comunico rispecchia valori e identità miei e dell’azienda. Promuovo la fiducia e la trasparenza. Sono leale e intellettualmente onesto con i concorrenti. Curo la qualità di ciò che comunico così come curo quella di ciò che produco.

Manifesto della comunicazione non ostile per le aziende

È quello che scrivevo ieri, in merito al primo punto “Virtuale è reale“: una volta che il cliente, dopo averti conosciuto online, arriva a te, deve trovare coerenza con quanto gli hai raccontato.

Le parole sono potentissime, possono raccontare mondi fantastici ed essere usate così bene da non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia.

Puoi raccontare la tua azienda esattamente come la sogni, ma se poi i sogni non si avverano, i clienti se ne accorgeranno.
E si sentiranno traditi.

Il Manifesto è il risultato del lavoro di Parole Ostili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole.
Dal momento che qui si parla di comunicazione aziendale, ho scelto il Manifesto nella versione declinata per le imprese.

La marcia in più della maternità

Ho due bambini, Enea (classe 2015) e Eva (classe 2018), che mi sbattono inconsapevolmente in faccia tutte le incoerenze e i limiti di cui sono portatrice.

Ai bambini possiamo raccontare quello che ci pare, ma quando siamo diversi da quello che diciamo, loro ce lo faranno capire.

Se durante una discussione tra noi genitori dico loro che non siamo arrabbiati, li confondo, perché quello che vedono non corrisponde all’immagine che hanno di una persona calma.

Se dico loro che va tutto bene, quando in realtà sono nervosa e preoccupata, mino la loro fiducia in me, perché percepiscono una realtà diversa da quella che gli racconto.

Non ha senso raccontare qualcosa di diverso da quello che siamo, perché quello che siamo parlerà sempre più forte di noi.

Da mamma lo so bene, perché lo sperimento ogni giorno, e ogni giorno cerco di dare un’immagine realistica di me, anche nel lavoro.

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